Inquinamento turistico, ricordi, magie di Basovizza.



“Sbarcarono per visitare la prima città, nel tempo di sei ore. Li guidava una donna corpulenta di mezza età, con indosso un tailleur bordeaux: agitava la sua bandierina come fosse uno stendardo e li conduceva a penetrare la folla di turisti, come banchi di pesci che s’incontrano e s’incrociano. Ruote di valigie sull’asfalto pedonale e odore di McDonald’s si moltiplicavano sempre identici in ogni strada che li conduceva alla meta obbligata: la cattedrale, il parco, la via degli acquisti, la lunga fila per accedere al museo, con tutte le guide in tailleur bordeaux a duellare alla conquista dello spazio fra i loro protetti e la biglietteria. Cartelli multilingue consigliavano di non spogliarsi nei luoghi di culto, non sputare a terra, ricordarsi della mancia. La sposa seguiva la guida come fosse il comandante della fanteria, e la visita una guerra sacra. La distribuzione dei panini incartati sulla nave entusiasmò lo sposo, come accade per i bambini in gita con la scuola. Acquistarono stampe e soprammobili Swarovski per gli arredi della loro nuova vita. Prima di risalire sulla nave chiesero alla guida di scattare loro una fotografia con la città sullo sfondo, consapevoli che mai ci sarebbero tornati; si baciarono allo scatto e senza rimpianti osservarono poi la costa allontanarsi e scomparire, coi polpacci gonfi e una gran voglia di mojito.”

Ho scritto queste righe dopo aver portato per la prima volta Valerio a Venezia, l’anno scorso, prima della pandemia. Nello stesso periodo avevo letto sulla rivista Internazionale un interessante articolo sul fenomeno dell’inquinamento turistico: di come, in sintesi, città come Roma, Parigi, Madrid, Venezia, Tokyo venissero snaturate dall’assalto di un turismo senza controllo, le vie invase, le attività commerciali modificate, le abitazioni private trasformate in bed and breakfast, il rumore incessante, i ragazzi ubriachi a sciami, ogni notte, a festeggiare spesso il loro primo viaggio fuori casa. L’articolo sottolineava come molti abitanti di queste famose mete turistiche fossero (scrivo al passato, perché ora sembrano tempi lontani) letteralmente esasperati da questa condizione, per quanto conveniente dal punto di vista economico. 
Nonostante le dinamiche e gli aspetti sociali e culturali coinvolti siano profondamente diversi, la questione dell’inquinamento turistico mi è tornata in mente in seguito ai segnali di malcontento manifestato da alcune persone rispetto alla frequentazione di alcune zone dell’altipiano carsico da parte di molti sportivi e passeggiatori della domenica. Di un certo senso di assembramento (pre-covid!) qualche volta ho risentito anch’io, e ancor più Davide, ma la mia considerazione è sempre stata che sia meraviglioso che un sacco di gente invece di passare la domenica al bar o sul divano davanti alla televisione esca per camminare, pedalare, correre nel verde, sotto il cielo, al sole. Comprendo d’altra parte gli abitanti: fossi in loro, mi sentirei profondamente a disagio, quando pochi diventano una moltitudine. 
Queste considerazioni non vogliono giungere a una conclusione, ma sottolineare una questione che sarebbe bello superare col buonsenso e la comprensione reciproca prima che anche sulle attività domenicali si scatenino le polemiche feroci e i conflitti senza mediazione che caratterizzano quest’epoca piuttosto barbara. 
Tutta questa lunghissima e illeggibile premessa per parlare di uno dei paesi dell’altipiano carsico a cui sono più affezionata: Basovizza. Là ho fatto le mie prime passeggiate solitarie, che hanno segnato una svolta nel mio modo di reinterpretare la mia vita a quarant’anni, portandomi prima ad interessarmi alla fotografia e poi alla scrittura. 
Parcheggiando la macchina poco dopo lo stagno del paese, appunto lontano dal punto di partenza della maggior parte degli sportivi, ha inizio un labirinto di sentieri che sembra illustrato in un libro di fiabe. Là Valerio ha conosciuto il suo primo bosco, dove cercava i segnali dei sette nani sui tronchi degli alberi (… altro non erano che le indicazioni dei sentieri… forse…), là ho pensato le prime righe dei primi racconti. Nonostante ora prediliga zone più selvagge per le mie camminate solitarie, qualche volta ci torno, soprattutto per una bella corsa, d’estate, quando quel boschetto pare essere l’unico luogo fresco rimasto al mondo.
In tanta magia anche il ristoro è speciale. Praticamente davanti al laghetto si trova l’Azienda Agricola Zagar, luogo ideale per uno spuntino con salumi e formaggi, ma anche per un pasto più sostanzioso, con gnocchi, carni e contorni della tradizione locale e soprattutto frutto del lavoro della fattoria di famiglia: con buona pace dei vegani, coi quali mi scuso fin d’ora, ogni anno io e Davide facciamo una battuta che pare cinica, ma serve a sdrammatizzare l’evidenza di come tutto il pollame che ruzzola in vista all’apertura (il locale apre solo in determinati periodi dell’anno) poi man mano diminuisca. Quando Valerio era piccolo portava il pane alle galline, poi si andava a vedere le mucche.
L’atmosfera è di tale pace e il cibo così buono (ed economico!) che Davide ha festeggiato là i suoi cinquant’anni. È stata una bella festa.  
Il ricordo più bello è di quando Valerio ha mosso i suoi primi passi, proprio sul prato antistante, prima appoggiandosi alla panca di legno, poi libero. Rincorreva la signorina che ci aveva portato il formaggio. Permane il dubbio: era (già?) interessato alla signorina o voleva il formaggio?
Nella foto l'evento viene celebrato solennemente.


Preadolescenza, castelli e tesori nascosti.

Portare un preadolescente a visitare antiche vestigia di castelli sotto il sole cocente dell’estate potrà costarvi una sequela significativa...